giovedì 4 giugno 2015

Plebiscito Elettorale

Plebiscito elettorale
Il Corriere Adriatico del 1 giugno titola in seconda pagina: “Ha vinto la voglia di cambiamento”. Mai titolo è stato più lontano dalla realtà e più vicino al Palazzo. Nelle Marche il PD si riconferma al potere dopo dieci anni di governo. Dove sta il cambiamento? Forse nel fatto che il presidente uscente Spacca è stato bocciato dalle urne? Lo è stato lui, e non la politica che ha sostenuto per dieci anni, quella servile del PD al potere padronale che ha trasformato le Marche in una regione deindustrializzata, precaria, con una sanità pubblica praticamente cancellata e cattedrali nel deserto che ogni tanto spuntano per favorire appalti agli amici degli amici.

Il PD resta il primo partito anche nel paese, nonostante le scelte disastrose fatte al governo. Premiati anche i partiti che riescono a rastrellare la reazione popolare, da Salvini a Grillo, e sconfitte invece le coalizioni che non riescono a dare segnali chiari di governabilità, cioè quando la lottizzazione delle poltrone rischia di mettere in discussione la tenuta del sistema … di potere. Le faide interne, cioè i panni sporchi, si lavano in casa, per il resto chi garantisce la pace sociale viene premiato, gli altri restano fuori dal palazzo. Nel primo caso Leghisti e Grillini continuano un’ascesa quasi inarrestabile. I seguaci di Salvini stravincono assieme ai fratelli italiani della Meloni, grazie in primo luogo alla grande pubblicità fatta dai media dove il segretario felpato ha goduto di visibilità quotidiana e diffusa. Facili parole d’ordine, odio seminato a piene mani e livore razzista in risposta alla disperazione sociale hanno fatto il resto. Le contestazioni di molte piazze non sono riuscite a scalfire la volata tutta mediatica dell’erede di Bossi, che in primo luogo ha permesso una frammentazione e personalizzazione nello schieramento di centro-destra tutta funzionale ai primi arrivati.

Anche i Grillini vanno avanti, ma non riescono a conquistare nessuna regione e restano saldamente ancorati in una nicchia ecologica tutta funzionale a incanalare proteste e malumori. Storia vecchia. E’ sempre bene avere un partito condannato all’eterna opposizione, che grida contro i corrotti e contro tutti e nei fatti non mette in discussione in alcun modo la società gerarchica e del profitto che genera miserie (leggere: stato e mercato). Vengono invece espulse sonoramente dal mercato elettorale, dopo un’agonia lunga venti anni, le ultime illusioni istituzionali di una sinistra di sinistra che ha perso troppe occasioni per capire che non è nell’urna (o nella poltrona) il luogo dove ricreare conflittualità di classe e solidarietà sociale. Probabilmente cercherà di rifarsi con qualche transfuga del PD e con il ritornello che senza la sinistra non si vince.

Resta l’astensionismo da record registrato: uno su due diserta le urne. Un dato di disaffezione politica? Segno di contestazione dello stato e del capitale? Siamo andati tutti al mare perché la rivoluzione è vicina? Tante le possibili risposte. Nei fatti i partiti perdono milioni di voti, ma gridano comunque alla vittoria. Di certo la nomenklatura italiana si adopererà per fare in modo che l’unico elemento messo in pericolo dall’astensionismo dilagante – il consenso figurato ad una democrazia ancor più figurata – possa essere recuperato. C’è l’esempio da seguire degli USA dove, il gioco elettorale è da decenni terreno di menzogne mediatiche e di scelte oligarchiche. Già le primarie in uso oltre oceano sono diventate parte del panorama politico della macchina del consenso del Bel paese.

Vince quindi la governabilità che può anche far a meno del rifiuto astensionista della metà del popolo. Vince chi urla di più, contro gli immigrati o a favore di riforme che riportano indietro il paese. Vince il capo: Zaia, Salvini, Renzi, Rossi, etc. tutti premiati se restano fedeli ai loro padroni. Vincono le menzogne mediatiche e la paura, la miseria morale e la voglia d’ordine e legalità che non necessariamente significano libertà, lavoro, istruzione, futuro. Perdono gli ultimi di sempre, perché il teatrino della politica va avanti nonostante loro. Ma non perde chi pensa che un posto di lavoro si possa salvare con la solidarietà e la lotta, e che il razzismo si debba combattere, sempre. Forse perde chi si è illuso di cambiare con il voto, e chi non è riuscito ad andare oltre al non voto. Del resto non è una novità: gli sfruttati hanno sempre perso alla roulette elettorale, e i pochi diritti conquistati, sono stati sempre il prodotto di lotte e solidarietà. Fa bene ripeterlo. Ma i plebisciti elettorali non è detto che possano eternamente garantire l’impunità verso un potere che è sempre più inaccettabile.


FAI – Federazione Anarchica Italiana:
Gruppo “Michele Bakunin” – Jesi;
Gruppo “Francisco Ferrer” – Chiaravalle

lunedì 1 giugno 2015

Le guerre non si Festeggiano. Si RIFIUTANO!




1915 – 2015: le guerre non si festeggiano. Si rifiutano!

E’ dei giorni scorsi la notizia della “volontà di chiedere perdono” da parte della Repubblica italiana per i fucilati italiani durante la 1^ Guerra Mondiale. Molti altri paesi l’hanno fatto decenni addietro e ha il sapore dell’auto-assoluzione da parte dello stato di essere responsabile di un crimine contro l’umanità: la guerra. Per chi volesse maggiori conoscenze sulle vittime del “fuoco amico” interessante è il libro di Marco Rossi delle edizioni BFS “Gli ammutinati delle trincee”.
http://www.bfs.it/edizioni/libro.php?id=203


Per rimanere in tema, nell’anniversario del grande macello, partecipata è stata la risposta antimilitarista e antifascista data lo scorso 23 maggio a Gorizia in contrapposizione al raduno organizzato da Casapound. Molte le info sia in rete che su fb, utile, quelle mostrate in info-action:
http://info-action.net/index.php?option=com_content&view=article&id=2617:23-maggio-a-gorizia-foto-e-video&catid=186:manifestazioni


Resta comunque il fatto che le spese militari in questo paese continuano a salire, mentre si taglia su scuola, sanità, assistenza, previdenza etc. Fra gli ultimi aggiornamenti, l’articolo del manifesto reperibile in rete:
http://ilmanifesto.info/litalia-spende-80-milioni-al-giorno-in-spese-militari/



Non resta che ripetere lo slogan: contro tutte le guerre, contro ogni guerriero e contro qualsiasi guerrafondaio, razzista, borghese, religioso o affarista che sia.


F.A.I. - Federazione Anarchica Italiana 
M.Bakunin - Jesi
F.Ferrer - Chiaravalle

Difesa d’Ufficio.

Nel numero di “La Repubblica” del 20 maggio 2015, a pagina 28, la rubrica “L’amaca” di Michele Serra dedica un commento all’arresto dell’anarchico Marco. Il testo recita:

Considero l’anarchico Marco, arrestato per l’aggressione al vicequestore durante il putiferio milanese anti-Expo, il minore dei nostri mali. O comunque: non il maggiore. Un marginale incazzato cui è capitata la sfortuna di diventare la star di una fotografia che ha fatto il giro del mondo, con un poliziotto a terra e il suddetto Marco (spalleggiato dal suo branco) che lo bastona, e tutti i “prima” e tuti i “dopo” che non contano più niente, conta solo l’attimo. E l’attimo, questa volta, è contro Marco e parla male di lui. Sarebbe bello, però, che il suddetto Marco, in un giorno qualunque della propria vita, magari a bocce ferme, a mente serena, in galera o (gli auguro) fuori di galera, con il suo pitbull o anche con cani meno bellicosi, guardasse quella foto e riconoscesse, nella propria sagoma con le gambe larghe e il braccio levato in aria, qualcosa di già visto. Stravisto. E’ l’immagina arcaica e archetipa dell’uomo di guerra, la guerra del fuoco o ancora indietro lo scimmione di Stanley Kubrick che scopre la prima arma, e la brandisce urlando al cielo la sua euforia. Tutto è muscoli e nervi, in quella postura di aggressore che scatta come una molla, tutto è adrenalina, guerra, ferinità, la sopraffazione della bestia (siamo bestie pure noi) per non essere sopraffatta. Gli anarchici erano tra quelli che lavoravano per la “futura umanità”. Un loro giornale si chiama Umanità Nova, fondato nel 1920 da Errico Malatesta. Di futuro e di “nuovo”, nell’uomo bastonatore, non c’è un granché.

E’ interessante la capacità di cogliere la notizia che “fa giornalismo”, che vende. Non quella che parla del cane che morde l’uomo, come potrebbe essere quella della testa spaccata dell’anarchico Silvano caricato a Massa per la contestazione contro Salvini, o quella della donna che contestava Renzi a Bologna giorni fa o più di recente dei segni del pestaggio di chi, sempre a Bologna, ha scioperato a difesa dei diritti lavorativi. No, pestaggi dovuti a cariche di alleggerimento e missioni squadristiche, non fanno notizia, anzi, meglio non parlarne. Ciò che fa notizia è l’uomo che morde il cane, la fotografia che mostra a terra chi ha una divisa e sopra di lui qualcuno senza divisa.

La notizia c’è. Lo scandalo e l’orrore pure e quindi ci si può ricamare sopra, in un modo o nell’altro. Purtroppo l’articolista ha perso diverse opportunità, quella magari di riferirsi al putiferio milanese non tanto ad un giorno anti-Expo, ma a tutti gli altri che sul piano economico e clientelare, legati ad Expo, rappresentano di gran lunga un putiferio anti-Milano. L’articolista poteva evitare di perdersi in valutazioni etiche sulla violenza rifacendosi al semplice fatto che il suo uso privilegiato, prima ancora che essere elemento animalesco, è sul piano giuridico caratteristica di diritto riconosciuta allo stato, e quindi in questo considerata necessaria, inevitabile, giusta e assumere la dimensione morale che la connota in toto: quella gerarchica; espressione dello stato appunto.

Ma una rubrica ristretta non può perdersi in argomentazioni e facezie e quindi basta chiudere con il solito schema mediatico degli anarchici buoni, quelli de ‘na volta, e di quelli cattivi, figli degeneri di un passato glorioso. Libero di scrivere e dire ciò che vuole – a pagamento poi! – l’articolista poteva ricordare che la marginalità in cui confina Marco, è il segno di una guerra di classe che l’oligarchia dei profittatori sta conducendo sulla moltitudine degli ultimi, verso i quali, gli anarchici continuano a volgere la loro attenzione. Magari con forze scarse, con limiti politici, con ambiti ristretti di movimento, però con la validità di una idea della società libera da ogni gerarchia che il novecento appena passato, purtroppo, ha confermato. Non resta che ringraziare l’articolista per la difesa d’ufficio fatta che mostra tutto il suo spessore intellettuale, la validità del modello di società cui si è sempre ispirato, la sua buona fede.

Per chi non lo avesse ancora letto di seguito il link del comunicato che parla del pestaggio e dell’arresto del compagno Silvano: